L'estate si avvicina (per fortuna), e, soprattutto gli addetti ai lavori stanno cercando di capire bene, per non incorrere in sanzioni e multe, il regolamento di attuazione dell'art. 65 del decreto legislativo del 18/07/2005 n° 171, recante il codice della nautica da diporto.
Chi prova a fare chiarezza sul " da farsi" è ADISUB, visto che ha partecipato alla stesura della legge a livello ministeriale.
riunisce alcune delle maggiori organizzazioni didattiche subacquee attive in Italia aderenti a RSTC Europe (Recreational Scuba Training Council Europe), organizzazione internazionale della quale costituisce la delegazione italiana. Gli attuali membri dell'associazione sono IDEA, PADI e SSI.
Dall'inizio del mese di settembre del 2008 anche il DAN Europe ha aderito ad ADISUB.
“L’ingresso del DAN nella nostra associazione – dice l’ing. Giovanni Cozzi, presidente di ADISUB - rafforza lo sforzo di ADISUB tendente alla divulgazione di un'attività subacquea sicura ed offre nuovo slancio alla cooperazione del DAN Europe con le maggiori organizzazioni didattiche del settore subacqueo”.
ADISUB ha lo scopo di supportare e rappresentare le organizzazioni didattiche subacquee, siano esse no profit che commerciali, nei rapporti con le autorità istituzionali quali Comuni, Province, Regioni, Ministeri, Parlamento, nonché con gli altri Enti interessati al settore delle attività subacquee e turistiche. L'obiettivo predominante é di presentare un'associazione propositiva e di riferimento, in particolare quando si parla di regolamentare il settore. ADISUB, inoltre, si propone di promuovere e diffondere l'attività subacquea con finalità educative, mirate alla sicurezza e alla protezione dell'ambiente, nonché di incrementare al massimo la qualità dell'insegnamento impartito e dei servizi offerti ai subacquei.
"COMMENTO AL REGOLAMENTO DI SICUREZZA DELLA NAUTICA DA DIPORTO"
di Gaetano Occhiuzzi
Premetto che i commenti al nuovo regolamento della nautica da diporto non provengono dal
competente ministero, ma sono stati elaborati dallo scrivente in base a quanto discusso durante i
lavori preparatori del regolamento in questione, personalmente seguiti nella qualità di presidente in carica di ADISUB. Aggiungo che il ministero è stato formalmente interpellato da ADISUB per
avere una “interpretazione autentica” che chiarisca i dubbi che di tanti subacquei, ma difficilmente questa interpretazione potrà divergere dagli orientamenti avuti durante i lavori preparatori.
L’argomento, se vuole essere affrontato nella sua interezza, è abbastanza complesso quindi per chi
non ha molta voglia di leggere o di approfondire, posso sintetizzarlo in 3 punti:
1) Il regolamento si riferisce all’uso commerciale delle imbarcazioni da diporto, quindi alle unità
immatricolate, quando utilizzate da diving e scuole per portare in immersione persone in cambio
di un corrispettivo.
2) I natanti, cioè le unità non immatricolate, non sono soggetti a questo regolamento, anche
quando utilizzati come unità appoggio alle immersione con finalità commerciali, infatti il loro
utilizzo rimane disciplinato dalle ordinanze delle varie Capitanerie di Porto.
3) I privati che fanno immersioni per diletto non sono soggetti a queste norme, sia nel caso di
utilizzo di una imbarcazione da diporto immatricolata, sia di un natante da diporto.
4) La norma relativa all’utilizzo del pedagno (chiamato cazzillo da molti subacquei), così come
quella della luce gialla intermittente nel caso di immersione notturna, riguarda tutti i subacquei.
A questo punto, definito il campo di applicazione della norma, chi non ha voglia di approfondire
può anche smettere la lettura, perché dovrebbe ormai essere chiaro che i tre-quattro amici che vanno a fare immersione con il gommoncino di qualcuno di loro sono esenti da queste norme, devono solo adeguarsi alla richiesta del pedagno e della luce lampeggiante gialla per la notturna.
Mi auguro però che siano in molti a continuare la lettura, perché anche se l’argomento non può
essere liquidato in poche parole, conoscerlo non farà male, anzi aiuterà a difendersi in caso a
qualcuno vengano irrogate sanzioni per motivi inesistenti.
Iniziamo precisando l’emanazione di un nuovo codice di sicurezza per le imbarcazioni da diporto è
stata determinata dalla ristrutturazione del codice della navigazione, uno dei cinque codici (codice
civile, codice di procedura civile, codice penale, codice di procedura penale, codice della
navigazione) alla base del diritto italiano. Questo nuovo codice, approvato con Decreto Legislativo
18 luglio 2005, n. 171, ha per la prima volta istituzionalizzato (comma C dell’articolo 2) l’esistenza
di imbarcazioni utilizzate “come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo
sportivo o ricreativo”, stabilendone altresì la presunzione di commercialità dell’uso, quando
utilizzate “da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i
praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo”.
Sempre questo nuovo codice della navigazione stabilisce, all’art. 65, che il Ministero delle
Infrastrutture e Trasporti avrebbe dovuto emanare, entro 90 giorni, un regolamento di attuazione, comprendente fra l’altro la “sicurezza della navigazione e delle unità da diporto, ivi comprese quelle impiegate in attività di noleggio o come unità appoggio per le immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo”. Viene quindi ancora ribadito che il regolamento si applica alle “unità appoggio per le immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo”, la stessa utilizzata nel comma C dell’articolo 2, che si riferisce all’uso commerciale delle imbarcazioni da parte di centri di immersione e di addestramento subacqueo.
Vale bene anche aggiungere che il comma 6 dell’art. 27 del più volte citato codice, stabilisce che
“L'utilizzazione dei natanti da diporto ai fini di locazione o di noleggio per finalità ricreative o per
usi turistici di carattere locale, nonché di appoggio alle immersioni subacquee a scopo sportivo o
ricreativo è disciplinata, anche per le modalità della loro condotta, con ordinanza della competente autorità marittima o della navigazione interna, d'intesa con gli enti locali.”
Come può notare da una attenta lettura di queste norme, il privato non viene mai citato ed i natanti sono ufficialmente esclusi dal campo di applicazione del nuovo regolamento di sicurezza, anche quando utilizzati per fini commerciali. Torna però costantemente il riferimento ai centri di
immersione e di addestramento subacqueo, cioè strutture che percepiscono un compenso a fronte delle proprie prestazioni. Questo limite del campo di applicazione della norma è ulteriormente confermato in un articolo a firma del Comandante Aniello Raiola, uno degli estensori del regolamento, apparso sul supplemento al notiziario della Guardia Costiera numero 5/2008, disponibile sul sito internet della stessa Guardia Costiera. Anzi questo articolo è ancora più preciso, perché per individuare i destinatari della norma, usa fra parentesi la parola tipica utilizzata dai subacquei: diving.
Chiarito chi deve immediatamente (il regolamento di sicurezza è ormai in vigore) adeguarsi alle
norme in discussione, passiamo ad esaminare più in dettaglio gli articoli 90 e 91 di questo
regolamento di sicurezza della nautica da diporto, emanato, come spesso accade in Italia, non dopo 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge principale ma diversi anni dopo. Infatti il relativo decreto ministeriale porta il numero 146 ed è datato 29 luglio 2008, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 222 del 22 settembre 2008 ed è diventato esecutivo 90 giorni dopo, quindi approssimativamente a fine dicembre 2008. Trattandosi di un regolamento di attuazione di un decreto legislativo, a sua volta emanato in applicazione di una legge, non sono necessari ulteriori passaggi per l’esecutività della norma, praticamente dall’inizio del 2009 tutti i centri di immersione devono adeguarsi alle disposizioni dell’articolo 90 ed i subacquei a quelle dell’articolo 91 per nonincorrere in sanzioni.
Iniziando l’esame del primo dei due articoli, cioè il 90, possiamo notare che ha di fatto raccolto
quelle che dovrebbero essere delle norme di buona gestione dell’immersione, fra l’altro già
contenute nelle ordinanze delle Capitanerie di Porto di quasi tutta Italia. Inoltre la gran parte di
queste prescrizioni sono contenute anche nella norme EN 14467 ed ISO 24803, che pur non avendo valore di legge in quanto non recepite nella legislazione italiana, sono spesso utilizzate dai giudici come la “regola d’arte”, quindi vanno tenute in debita considerazione.
Viene quindi richiesta la disponibilità di una bombola di riserva con 2 erogatori montati ogni 5
subacquei in immersione, contenente gas respirabile, quindi non solo aria, ma anche nitrox oppure ossigeno. In notturna, la bombola deve essere dotata di luce stroboscopica per facilitarne
l’individuazione in caso di necessità. La norma non prescrive la quantità di gas respirabile che
questa bombola deve contenere, ma è ovvio che deve essere ben carica.....
Un po’ più complessa è la questione della stazione di decompressione richiesta dal punto successivo nel caso di immersioni programmate con decompressione. Quindi non serve in caso di
decompressione casuale, ma solo quando le tappe di decompressione vengono volutamente inserite nel piano dell’immersione. Certo questa stazione richiede un po’ di impegno per realizzarla, ma considerato che in sede di discussione al Ministero si era partiti dalla richiesta della camera iperbarica a bordo, sicuramente la stazione di decompressione è il male minore. È realizzabile, mentre quanti diving avrebbero potuto permettersi una imbarcazione con camera iperbarica?
I due punti successivi non fanno altro che richiedere delle dotazioni che sono ormai entrate nelle
consuetudini, in quanto citate praticamente in tutte le ordinanze delle Capitanerie di Porto: il kit
ossigeno e la cassetta di primo soccorso. Però ne hanno delimitato il contorno, cioè la
corrispondenza almeno alla norma EN 14467 del kit ossigeno (capacità di erogazione di 15 litri al
minuto per 20 minuti) ed alla tabella A allegata al decreto del Ministero della sanità 25 maggio
1988, n. 279 per il kit di primo soccorso. Inoltre bisogna disporre di almeno una maschera di
insufflazione, meglio conosciuta come pocket mask. Visto che nelle ordinanze delle Capitanerie le
configurazioni del kit ossigeno erano le più disparate, così come la dotazione del kit di primo
soccorso, avere dato dei riferimenti minimi ai quali bisogna adeguarsi è sicuramente positivo.
Arriviamo poi alla ricetrasmittente VHF. Durante le riunioni al Ministero si tentò di far passare il
cellulare come dispositivo per contattare i servizi di emergenza, ma la proposta non fu accettata, in quanto in mare l’allerta deve avvenire attraverso il canale 16 della banda VHF riservata alla nautica.
Inoltre il cellulare in molte zone sottocosta non ha copertura, quindi è inutilizzabile. Quindi è stata formalizzata la prescrizione del VHF; comunque i palmari VHF nautici si trovano ormai in
commercio a prezzi bassissimi e nel caso di utilizzo per la sola emergenza, non è necessaria né la
licenza da radiotelegrafista né il pagamento di canoni o tasse varie.
E arriviamo così al punto che ha scatenato tutte le fantasie e le più stravaganti interpretazioni. La
prescrizione, contenuta nell’ultimo punto dell’articolo 90, cioè “Le immersioni subacquee a scopo
sportivo o ricreativo richiedono la presenza di una persona abilitata al primo soccorso subacqueo.”
Al riguardo c’è da rilevare che moltissime ordinanze delle Capitanerie di Porto già richiedevano
questa persona addestrata al primo soccorso a bordo, quindi non è di certo una novità sconvolgente, pertanto più che stupirci cerchiamo di individuare cosa chiede esattamente la norma. Ebbene non chiede nulla di particolare, particolarmente non chiede un Rescue Diver, come molti hanno interpretato facendo alla rovescia (cioè dall’italiano all’inglese) la traduzione di “primo soccorso subacqueo”. La norma non fa altro che ribadire che a bordo dell’imbarcazione ci deve essere una persona abilitata al primo soccorso, poi aggiunge “subacqueo” per far capire che la persona deve conoscere anche il trattamento degli incidenti da immersione, non solo il primo soccorso in generale. Questo rifacendosi alle norme EN ed ISO in materia, che prevedono sia per i divemaster che per gli istruttori l’obbligo di un addestramento al primo soccorso e somministrazione ossigeno negli incidenti subacquei.
Comunque poiché nel caso dei diving in barca ci sarà sicuramente almeno un divemaster o un
istruttore, che dovrebbe essere stato addestrato al primo soccorso e somministrazione ossigeno, e considerato che i privati non sono interessati dalla prescrizione, il problema è di fatto inesistente.
Volendo poi ragionare su questioni di lana caprina, cioè sulla parola “abilitazione” che ha
stuzzicato molteplici interpretazioni, nei lavori preparatori si era parlato di un addestramento
ricevuto al termine di un corso di una delle varie organizzazioni che si dedicano a questo tipo di
attività. Le Capitanerie non si sono mai addentrate nei meandri del riconoscimento dei brevetti e
corsi, nelle loro ordinanze hanno sempre parlato di “organizzazioni didattiche genericamente
riconosciute sul territorio nazionale”, quindi non cambieranno di certo in questo caso la loro linea
di condotta decisamente neutrale.
Concluso quindi l’esame dell’articolo 90, passiamo al successivo articolo 91, relativo alla
segnalazione del subacqueo in immersione, che interessa tutti i subacquei. La norma è molto chiara, a dispetto di interpretazioni contorte lette in giro, e chiarisce finalmente una materia che è stata oggetto di moltissime contestazioni e di ordinanze locali a dir poco contrastanti.
È stato infatti stabilito che la segnalazione del subacqueo in immersione notturna è la luce gialla
lampeggiante visibile da almeno 300 metri, quindi non potranno più venire fuori ordinanze che
vietano l’immersione notturna perché non esistono norme che stabiliscono il dispositivo di
segnalazione del subacqueo in notturna, oppure multe assurde irrogate per motivazioni similari.
Adesso la norma c’è ed è chiarissima. Così come viene precisato che nel caso di un gruppo di
subacquei, è sufficiente una boa segnasub per tutto il gruppo (che però dovrebbe procedere
compatto, ricordiamolo!), non una boa per ogni subacqueo, come previsto in alcune ordinanze
locali. Su questo punto però la discussione durante i lavori preparatori fu abbastanza lunga, perché il problema che si potevano i rappresentanti ministeriali era il casuale sganciamento del gruppo di uno dei subacquei, che non disponendo di una propria boa, sarebbe risalito senza dispositivo di segnalazione, rischiando l’incidente in caso di passaggio di imbarcazioni.
Il nodo non era facile da sciogliere, quindi alla fine fu optato per il pedagno, da lanciare in
superficie in caso di sganciamento dal gruppo con la boa, al fine di segnalarsi alle imbarcazioni in
transito. E magari farsi vedere anche dai compagni o dall’imbarcazione. La necessità di portare
sempre con se una nuova dotazione obbligatoria forse scontenterà qualcuno, ma guardando
all’interesse della maggioranza, meglio un pedagno da utilizzare un caso di necessità che 10 boe
con bandierina per 10 subacquei.
Si sono anche scatenate fantasiose interpretazioni sul quando e come utilizzare il pedagno, ma la
norma è chiarissima: va utilizzato “prima di risalire in superficie, in caso di separazione dal
gruppo”. Cioè solo se un subacqueo si separa casualmente dal gruppo e risale ad una distanza
superiore ai 50 metri dalla boa o dalla barca con la bandiera sub issata. E certamente il suo uso non verrà sanzionato, trattandosi di una situazione di emergenza, mentre probabilmente verrà sanzionato il non averlo, visto che è una dotazione obbligatoria. La norma è talmente chiara che interpretarla in maniera differente è veramente difficile!
Strana discussione nata collateralmente a questa norma è quella della distanza dei 50 metri dalla boa o dall’imbarcazione. Questa norma esiste da decine di anni, può essere che qualcuno l’ha notata solo ora che è stata ribadita nel regolamento di sicurezza della nautica da diporto?
In conclusione c’è da dire che probabilmente queste norme non sono perfette e sicuramente non
accontenteranno tutti, specialmente le scuole di pensiero che vorrebbero la liberta assoluta che però non è ammessa dal nostro sistema giuridico. Però in una trattativa non si può sempre pretendere di avere il massimo, quindi quello che si è ottenuto rappresenta comunque un ottimo risultato. Infine è meglio avere una norma chiarificatoria, che persistere in una incertezza normativa dalla quale possono scaturire interpretazioni personali di chi è addetto ai controlli, con conseguenti divieti e/o sanzioni prive di fondamento.
Concludo precisando che pur conoscendo bene la materia non posso escludere eventuali diverse
interpretazioni da parte del Ministero, oppure l’applicazione anche ai natanti qualora qualche
Capitaneria di Porto dovesse recepire le norme del regolamento nelle ordinanze locali estendendone il campo di applicazione anche a detti natanti. Quindi bisogna sempre mantenersi aggiornati sulle ordinanze in vigore nelle varie località, per evitare spiacevoli sorprese.
N.B. Parti di questo commento sono state utilizzate anche in un articolo recentemente apparso su
una nota rivista del settore subacqueo.
Per maggiori informazioni su ADISUB: http://www.adisub.org
Lo'
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